Il mio paese |
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La Pieve di San Lorenzo Osservazioni e ricerche del Maestro Giovanni Martini (1913-2003) La struttura architettonica La chiesa come ora si presenta è di stile romanico, con tre navate e tetto a capanna. Nel 1700 pensarono di costruire un volto con materiale leggero, il tufo. Furono fissati nei muri laterali dei mensoloni di arenaria sui quali poggiavano gli archi del volto.
Nell’anno 1890 vollero impiantare gli organi; fu costruita l’orchestra su mensoloni di legno e, poiché la robusta lega di ferro che collegava le due arcate impediva la collocazione delle canne dell’organo, pensarono di toglierla. Il 7 settembre 1920 alle ore 7 il terremoto fece crollare proprio la parte sciolta, slegata, del volto che perciò nel 1926/1927 fu tutto demolito. La pianta centrale della chiesa è rivolta verso ovest, cioè verso la Francia, poiché in quella terra aveva regnato Carlo Magno, proclamato dal Papa Leone III nell’anno 800: defensor fidei, difensore della fede.
La porta primitiva, all’epoca della costruzione della chiesa, era di dimensione più modesta. L’architrave monolitico, ricurvo verso l’alto, di pietra arenaria molto scadente, ha una lunghezza di metri uno e ottantadue centimetri ed è attualmente posto nei pressi della sala parrocchiale.
Circa l’anno 1450 fu costruito l’attuale
portale in pietra arenaria, di metri 1,63 di larghezza e metri 2,48 di
altezza. Un vero gioiello dell’arte del tempo. Le soglie, o stipiti, che
reggono l’architrave, sono scannellati e nella scanalatura si
arrampica la vite, simbolo della vita umana unita a Dio.La vecchia porta di castagno, molto robusta e senza serratura esterna, è
stata sostituita recentemente con una più leggera di pino douglass ed
è conservata nella sala parrocchiale. Dal monogramma di San Bernardino si deduce che la data del portale è del XIV-XV secolo. Sopra il portale si nota un semicerchio, o lunetta, che per tanti secoli è rimasta inutilizzata, finché, nel 1958, il pievano don Armenio Notari, vi fece collocare la figura del diacono Lorenzo, di marmo bianco di Carrara. L’immagine di marmo non è consona alla facciata, tutta di arenaria. Sulla destra della porta si nota una lapide di piccole dimensioni raffigurante il fascio littorio con la scure: la lapide fu posta nel 1927 (anno V dell’era fascista) allorché la chiesa fu riparata dai danni del terremoto del 20 settembre 1920, VII grado della scala Mercalli. Le spese per la riparazione furono a totale carico dello stato. La lapide è stata intenzionalmente scalpellinata dopo il 25 luglio 1943.L'interno Entrando in chiesa sulla sinistra si ammira un fonte battesimale di stile barocco (1600/1700) sul quale campeggia la scritta “FONS HIC LUSTRALES RITE MINISTRAT AQUAS MUNDARI UT POSSINT VETERIS VESTIGIA LABIS” (questo fonte dà, secondo il rito, le acque purificatrici, affinché siano cancellati i segni dell’antica macchia). Nei primi secoli del cristianesimo, il rito
del battesimo era molto semplice, il vescovo, con l’aspersorio, benediva i
catecumeni riuniti in chiesa e da quel giorno potevano partecipare ai sacri
riti ed alla consacrazione del pane e del vino. Sempre, nei primi secoli del cristianesimo, il battesimo era amministrato dal vescovo nei giorni delle grandi festività e le vasche battesimali erano poste nel lato Nord della “ecclesia”, della plebania, per indicare le tenebre oppure il punto dal quale giungevano i barbari, i pagani, gli infedeli. I catecumeni aumentavano di numero e la cerimonia del battesimo si estese a tutti i giorni dell’anno nella ecclesia e nelle pievi. In alcuni fonti battesimali è raffigurato un “caprone” che rappresenta il peccato originale. In una pietra dell’abside della chiesa è raffigurato il “caprone”, simbolo del peccato e del male della comunità. La parola battesimo, deriva da greco “battismos”, significa “ immersione” ed è il primo dei sette sacramenti della chiesa. Penso che scavando davanti all’altare del Crocifisso e del fonte battesimale, potrebbero affiorare i resti del primitivo fonte ad immersione. Sempre sulla sinistra troviamo l’altare marmoreo del Santissimo Crocifisso e la prima monofora, oppure feritoia. L’altare ligneo di stile barocco del 1500/1600 è dedicato alla Madonna venerata sul monte Carmelo. Nelle grotte o caverne di questo monte dimorarono a lungo i profeti Elia ed Eliseo. L’altare in legno di ciliegio, ha due colonne a spirale, laccate in nero con la vite che si arrampica lungo la spiarle fino al capitello ed all’architrave, La vite con grappoli d’uva, l’intarsio dei capitelli e dell’architrave sono colorati con tinta in simil oro, una lega di rame e zinco di colore giallo oro. Nel quadro, oltre la Madonna del Carmine con il Bambino Gesù, sono effigiati Santa Filomena, Sant’Antonio Abate e San Luigi. Nel frontale dell’altare, in alto, un quadro di un certo valore, di centimetri 50 per 60, raffigura San Pietro. L’altare ligneo proviene dal convento di Codiponte delle monache di clausura di Santa Chiara, dette Clarisse. Il convento fu soppresso nel 1848 dal Granduca Leopoldo di Toscana, con altri conventi nel territorio di Fivizzano ed i beni incamerati. Il mio nonno materno Cecconi Domenico da Strada di Codiponte, lo acquistò trasferendolo nella chiesa di Pieve San Lorenzo, paese nel quale si era stabilito per matrimonio. L’altare era stato anche dotato con lasciti e livelli su alcuni terreni. I livelli furono affrancati dal vescovo di Massa, dietro versamento di lire ottocento nell’anno 1924, come da regolare ricevuta. Altro altare sulla sinistra era dedicato a S. Giuseppe ed il quadro, attualmente in parete, rappresenta la nascita di Gesù, con Maria, Giuseppe, S Francesco d’Assisi e gli angeli. L’altare fu demolito perché ritenuto di nessun valore artistico, nel 1926-1927, durante i lavori di riparazione della chiesa. Un quadro di un certo interesse storico è quello del diacono Lorenzo, rappresentato con la palma del martirio e la graticola in mano, Alle spalle del giovane martire sono ben visibili, sullo sfondo, alcune colossali piante di querce sul colletto denominato Romella e vi figurano i ruderi di una vecchia costruzione, era l’antico monastero di monache del quale non conosciamo l’ordine di appartenenza. Il monastero si estendeva su uno sperone di roccia arenaria, verso sud, verso Argigliano. Le monache lavoravano il terreno circostante detto”Campaccio” ed avrebbero tessuto e ricamato gli arredi sacri delle varie plebanie locali. Una certa Pellegrina Tolomei, deceduta nel 1920, conservava ancora i lavori artigianali delle religiose. Lo sperone di roccia, con quanto era sopra, fu asportato, scavando pietre per la costruzione del muraglione del piazzale della ferrovia e dell’imbocco della galleria del Lupacino, dal 1919 al 1922. Nel quadro vi figura anche il campanile con la parte attualmente demolita e non ricostruita, detta “colombaia” o “cassero”. Il quadro di San Lorenzo era posto nell’abside del coro fino al 1926-1927 e fu rimosso per dare luce con due monofore, o feritoie, sopra il coro.
La porticina del lato Nord fa parte della primitiva costruzione, come pure la piccola monofora a fianco dell’altare della Madonna “Rosa Mystica” che porta la data 1757. La nicchia è ricavata nella monofora di metri due di altezza e centimetri dodici di larghezza che fu chiusa per costruire la base del campanile. Nell’abside campeggia l’altare maggiore o
“mensa primitiva”: un monolite di arenaria di metri 1,84 per metri 1,29 per
centimetri 11 di spessore. Il sacerdote celebrava i sacri riti rivolto verso
i fedeli, come è stato ripristinato di recente. Circa il 1600/1700 la mensa
primitiva fu rivestita di marmi colorati con due balaustre e, nel centro
dell’altare, il Tabernacolo in marmo. La mensa era totalmente coperta
o rivestita
di marmo, solo sporgeva dal rivestimento verso il coro. Si
suppose allora che quei marmi nascondessero la primitiva mensa. Il tabernacolo con le due balaustre fu collocato sull’altare dell’”Ultima Cena” attualmente dedicato a S.Antonio da Padova. Fu trovata una reliquia e rimurata nel centro della costruzione che sorregge la mensa, nel lato verso i fedeli, Si pensò che fosse una reliquia del martire Lorenzo. Sempre entrando dalla porta principale, sulla destra si nota la sagoma di una porta di piccolissime dimensioni, altezza metri 1,80 e larghezza centimetri 60. Era la porta che comunicava con l’abitazione del sacerdote e poiché nessuna delle tre porte possedeva la serratura, il sacerdote sbarrava, o sprangava dal di dentro le porte, ritirandosi nella sua abitazione usando questa porticina. Della primitiva abitazione del sacerdote, la canonica, si vedono le tracce nella parte esterna della chiesa: lato Sud. Sempre sulla destra vi era un altare di legno dedicato a Sant’Antonio da Padova e poiché non aveva valore artistico fu rimosso nel 1926/1927. Apparteneva alla famiglia Cappelleschi, che aveva anche sacerdote il parroco di Argigliano. Un altare in marmo è quello del “Volto Santo” (1707), appartenente ai Tolomei, “tirannelli” del vicario di Minucciano.* (vedi culto del Volto Santo) A fianco dell’altare del Volto Santo era quello dei martiri San Genesio e San Rocco, anche questo demolito negli anni 1926/1927. Questo quadro ci ricorda la vita pericolosa dei pellegrini nel Medioevo. Il quadro misura metri 2,30 per metri 1,40 e rappresenta San Rocco nell’atto di distribuire pane ai poveri. E’ ben visibile la cicatrice lasciata dalla peste sulla coscia sinistra ed il cane che reca un pane al Santo. Con San Rocco è raffigurato San Nicola da Bari, perseguitato dall’imperatore romano Diocleziano, Nicola partecipò al primo Concilio di Nicea (Bitinia) per condannare l’eresia di Ario nell’anno 335.Vi figurano pure San Ginesio martire nell’anno 303 e San Bernardino da Siena con il suo monogramma IHS (Iesus Hominum Salvator). Il quadro dell’attuale altare dedicato a Sant’Antonio da Padova riproduceva l’Ultima Cena ed aveva le stesse dimensioni di quello di San Rocco, metri 2,30 per metri 1,40 e vi era riprodotta una copia dell’”Ultima Cena” di Leonardo da Vinci. Nella parte bassa dell’altare vi è la scritta: “HIC RECOLITUR CENA NOVISSIMA”, (qui si ricorda l’ultima cena), dono, essendo priore, Luzio Tolomei, anno 1749. L’attuale statua di Sant’Antonio è sistemata in una nicchia ricavata nella monofora, o feritoia, verso levante. Le monofore della parte centrale rialzata della chiesa sono tre per parte e fanno piovere la luce dall’alto. Hanno un’altezza di metri 1,40 ed una larghezza di centimetri 30. Le monofore della parte bassa della chiesa sono due dal lato Nord ed una dal lato Sud. Quelle dell’abside-coro erano tre, di cui una fu oscurata per la costruzione del campanile nel XVII secolo. Le monofore del coro sono alte circa tre metri e larghe centimetri dieci, danno una luce fioca, tenue, che invita al raccoglimento e alla meditazione. Attualmente nel coro dietro la mensa vi è un Crocifisso acquistato a Parma dalla Ditta Orcesi Ettore, via Palma 3, da mio babbo Martini Battista nell’anno 1942 con una spesa di lire 959,40 (novecentocinquantanove lire e 40 centesimi). Il crocifisso e la croce sono di legno di quercia rossa o rovere. La parte alta esterna dell’abside è ornata da piccoli archi con scolpite alcune testine apotropaiche, scopo delle quali: allontanare gli spiriti maligni; nel paese si notano diverse teste apotropaiche. In una mensola sembra raffigurato un caprone in fuga, secondo altri osservatori un cervo in corsa verso la fonte, simbolo del cristiano che va verso Gesù Cristo, come il cervo va verso la sorgente dell’acqua, “sicut cervus ad fontes aquarum”. Le altre due mensole sono di stile differente l’una dall’altra e stanno a dimostrare che sono elementi di pietra arenaria di reimpiego, cioè fanno parte di materiale già impiegato in un tempio pagano, oppure in un primitivo tempio cristiano successivamente demolito per dar luogo ad una grande ecclesia, ad un grande tempio: l’attuale Pieve di San Lorenzo.
Elementi di pietre di arenaria si notano bene nell’architrave, all’interno della chiesa, sopra la porta che si apre verso Sud. L’architrave è artisticamente lavorato a intreccio vimineo con tre elementi capricciosamente intrecciati e costellati di rosette. Sempre un altro intreccio vimineo è venuto alla luce nell’eseguire alcuni lavori nei pressi della chiesa ed è conservato nella sala parrocchiale. Tutti questi elementi fanno pensare ad un tempio pagano, oppure ai primordi del cristianesimo.
Il pavimento primitivo era un impasto di calce con frammenti di tegoloni e pezzi di scisti poilicromi, cioè di pozzolana locale che affiora nei pressi di Artigliano, località “Castedd”.Il pavimento era diviso in due parti da un rialzo di circa dodici centimetri. Questo rialzo a metà chiesa divideva, in un primo tempo, i cristiani battezzati dai catecumeni in attesa del battesimo. I catecumeni non potevano assistere alla consacrazione del pane e del vino ed a quel punto si allontanavano dalla chiesa.X Una successiva separazione avveniva calando un grande tendone che era assicurato alle due prime colonne della chiesa, vicino alla mensa. Sui capitelli è ancora visibile lo stampo sul quale poggiava il sostegno trasversale fra le due colonne. La separazione fra i fedeli, inizialmente fra catecumeni e cristiani, fu successivamente mantenuta, fino a pochi anni fa, separando le donne dagli uomini.
Le tombe erano di dimensioni piuttosto modeste: metri 3 per 2. Il cadavere veniva calato nel sottostante spazio avvolto in un lenzuolo e la pietra tombale sigillata con cera per ovvie ragioni di fetore. Le tombe furono riempite con materiale di demolizione del volto della chiesa negli anni 1926/1927. Il pavimento, la separazione e le tombe furono cancellate nel 1949 allorché fu pavimentata la chiesa con lastre di marmo delle cave di Equi Terme. Nell’anno 1700 fu costruito il cimitero davanti all’entrata principale della chiesa. Il morto veniva calato nel vano sottostante e finiva su un robusto graticcio di travi su cui si decomponeva. Questa sepoltura si protrasse fino al 1882 e fu abbandonata con la costruzione del Camposanto in Romella. Il primo morto sepolto con inumazione si chiamava Giovanni Sante Giannetti, detto “Tecchione”, cioè copritetto. Anno 1882 Il settecentesco cimitero è l’attuale sala parrocchiale. |
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